Attività
30/10/2010 - Empedocle e Ferdinandea : i vulcani del canale di Sicilia
Vulcani e petrolio
“E’ cosa scellerata ipotizzare ricerche
petrolifere in un campo minato qual è il
Canale di Sicilia. Mai una mente
razionale, dopo avere registrato il disastro
ambientale inarrestabile del golfo del
Messico, progetterebbe di piazzare una
piattaforma petrolifera in questo tratto di
mare, disseminato dei crateri di un grande
vulcano che riposa, ma non dorme”. Lo
ha detto il dott. Domenico Macaluso,
ispettore onorario dell’Assessorato ai
beni Culturali della Regione Siciliana e
responsabile del Nucleo Operativo
subacqueo della Lega navale Italiana
sezione di Sciacca. L’occasione: la
conferenza su “Empedocle e Ferdinandea:
i vulcani del Canale di Sicilia”, che lo
stesso ha tenuto nel salone delle
conferenze della Banca don Rizzo di
Alcamo su invito del presidente del locale
Rotary Club, Andrea Ferrarella.
Macaluso ha raccontato che”l’idea
malsana, è venuta ad una società di ricerca
petrolifera irlandese, la San Leon Energy,
una società di comodo, con un capitale
sociale ridicolo, di soli 10.000 euro, dietro
la quale non si sa chi si realmente ci sia; la
scoperta dello scellerato progetto, è
avvenuta per caso, dopo il riscontro
all’Albo Pretorio del Comune di Sciacca,
di una istanza, nella quale risultava
allegato, uno studio sull’impatto
ambientale, vergognosamente impreciso e
palesemente falso! La notizia del
progetto di ricerca e l’ipotesi di piazzare
piattaforme da estrazione a meno di due
chilometri da Capo San Marco a Sciacca
(proprio quello dell’esplosione della
sacca di metano, l’estate scorsa!), ha
scatenato un forte presa di posizione da
parte di associazioni culturali,
ambientalistiche e degli stessi Comuni
interessati, con la costituzione di un
agguerrito comitato, che ha preso il nome
di Stop alla Piattaforma”.
Ed ecco, secondo quanto ha detto
Macaluso, quali sono concretamente i
rischi connessi alla ricerca ed alla
estrazione di petrolio in questo tratto di
mare?
- La semplice ricerca del petrolio, che
viene condotta con una sonda chiamata
Air Gun, avrebbe effetti negativi per
l’ecosistema e comporterebbe un danno
rilevante per la pesca (principale fonte
economica per la zona di Sciacca e
Mazara), in quanto questo strumento di
ricerca, per creare onde sismo-elastiche,
spara colpi di aria compressa, che fa
scappare il pesce adulto, ma uccide il
novellame!
- La presenza di piattaforme petrolifere,
fisiologicamente inquinanti, sarebbe
disastroso per il peculiare ambiente
marino straordinariamente intatto, di
questo tratto di Canale di Sicilia, per non
parlare dell’impatto negativo, in una zona
vocata al turismo, che ospita eleganti
residence, come il complesso Sciacca
Mare, Torre Makauda ed il raffinato Golf
Resort di sir Rocco Forte.
- Il rischio maggiore, verrebbe
rappresentato dalle manifestazioni del
vulcanesimo di questa area: proviamo ad
immaginare cosa accadrebbe, se un’onda
sismica, se l’onda d’urto di una
esplosione di gas o se un’eruzione
investisse una piattaforma: assisteremmo
a quello che è accaduto in Luoisiana dopo
l’incidente alla piattaforma Deepwater
Horizon!
- Non bisognerebbe, ancora, sottovalutare
un altro aspetto, poco tenuto in
considerazione: molti studi scientifici,
hanno dimostrato che l’estrazione di
petrolio, aumenta la sismicità dell’area
interessata all’estrazione e l’area, è già
fortemente sismica; inoltre l’emunzione
di petrolio o di gas naturale comporta il
rischio dell’insorgere di un fenomeno
chiamato “subsidenza antropica”, cioè il
collasso di un tratto di crosta terrestre,
che sott’acqua potrebbe generare onde
anomale, cioè tsunami!
Significative, in tal senso, le note
conclusive del parere espresso
dall’Ufficio Tecnico del Comune di
Sciacca: “È più che mai necessario, vitale,
salvaguardare l’unicità dell’ambiente
marino, tutelate le biodiversità che in esso
convivono, garantire il futuro economico
delle popolazioni che si affacciano in
questo mare, inibendo ... ogni attività
potenzialmente inquinante, al fine di
riconsegnare alle generazioni future, in
Mare Nostrum crocevia di civiltà antiche
e moderne, nella sua integrità e non
un’infernale palude stigia!”
Il sospetto che un tratto di mare dal
punto di vista geologico, inquieto, come
quello prospiciente la costa sud-
occidentale della Sicilia, celasse nei sui
fondali dei vulcani, a parte quello noto
(Ferdinandea), si è concretizzato nel
2006, con la scoperta, di una grande
complesso vulcanico che ho battezzato
Empedocle. Ma non è tutto, in quanto nel
corso della crociera oceanografica, i
sofisticati strumenti in dotazione alla
nave da ricerca utilizzata, la Universitatis,
hanno dimostrato che il vulcanesimo di
questo tratto di Mediterraneo,
vicinissimo alle nostre città, è più che mai
attivo. Sono state infatti identificare delle
fumarole di grande portata e segni
inequivocabili, di recenti eruzioni
sottomarine. Tutto questo spiega la
frequenza dei terremoti di forte intensità,
che si registrano in quest’area, come
quello del 12 aprile del 2007; il 13 aprile,
sorvolando con l’elicottero della
Protezione Civile il tratto di mare
epicentro di quel terremoto, notammo che
l’acqua ribolliva in modo impressionate.
Ancora più forte, di magnitudo 4,2
Richter, fu il terremoto del 19 marzo
2009! La potenza di questi eventi sismici,
può essere interpretata, osservandone gli
effetti, come lo sgretolamento di vecchi
edifici vulcanici sottomarini, causato dalle
violente onde d’urto, con conseguente
liberazione, dopo ognuno di questi
terremoti, di tonnellate di pietre pomici,
che si spiaggiano nei giorni successivi,
lungo le nostre coste. Infine, non sono
meno eclatanti, le periodiche esplosioni
sottomarine di sacche di metano, come
quella verificatasi la scorsa estate, poco al
largo di Capo San Marco, a Sciacca.
Da quanto sopra esposto, l’ultima delle
cose che una mente razionale farebbe,
sarebbe la trivellazione per l’estrazione di
idrocarburi, in questo tratto di mare,
disseminato dei crateri di un grande
vulcano, che riposa, ma non dorme! Mai
una mente razionale, dopo avere il
disastro ambientale inarrestabile del golfo
de Messico, progetterebbe di piazzare in
un campo minato, una piattaforma
petrolifera ...o no? Ebbene l’idea malsana,
è venuta ad una società di ricerca
petrolifera irlandese, la San Leon Energy,
una società di comodo, con un capitale
sociale ridicolo, di soli 10.000 euro, dietro
la quale non si sa chi si realmente ci sia; la
scoperta dello scellerato progetto, è
avvenuta per caso, dopo il riscontro
all’Albo Pretorio del Comune di Sciacca,
di una istanza, nella quale risultava
allegato, uno studio sull’impatto
ambientale, vergognosamente impreciso e
palesemente falso! La notizia del
progetto di ricerca e l’ipotesi di piazzare
piattaforme da estrazione a meno di due
chilometri da Capo San Marco a Sciacca
(proprio quello dell’esplosione della
sacca di metano, l’estate scorsa!), ha
scatenato un forte presa di posizione da
parte di associazioni culturali,
ambientalistiche e degli stessi Comuni
interessati, con la costituzione di un
agguerrito comitato, che ha preso il nome
di “Stop alla Piattaforma”. Ma quali sono
concretamente i rischi connessi alla
ricerca ed alla estrazione di petrolio, in
questo tratto di mare?
- La semplice ricerca del petrolio, che
viene condotta con una sonda chiamata
Air Gun, avrebbe effetti negativi per
l’ecosistema e comporterebbe un danno
rilevante per la pesca (principale fonte
economica per la zona di Sciacca e
Mazara), in quanto questo strumento di
ricerca, per creare onde sismo-elastiche,
spara colpi di aria compressa, che fa
scappare il pesce adulto, ma uccide il
novellame!
- La presenza di piattaforme petrolifere,
fisiologicamente inquinati, sarebbe
disastroso per il peculiare ambiente
marino straordinariamente intatto, di
questo tratto di Canale di Sicilia, per non
parlare dell’impatto negativo, in una zona
vocata al turismo, che ospita eleganti
residence, come il complesso Sciacca
Mare, Torre Makauda ed il raffinato Golf
Resort di sir Rocco Forte.
- Ma il rischio maggiore, verrebbe
rappresentato dalle manifestazioni del
vulcanesimo di questa area: proviamo ad
immaginare cosa accadrebbe, se un’onda
sismica, se l’onda d’urto di una
esplosione di gas o se un’eruzione,
investisse una piattaforma: assisteremmo
a quello che è accaduto in Luoisiana,
dopo l’incidente alla piattaforma
Deepwater Horizon!
-Infine, non bisognerebbe sottovalutare
un altro aspetto, poco tenuto in
considerazione: molti studi scientifici,
hanno dimostrato che l’estrazione di
petrolio, aumentala la sismicità dell’area
interessata all’estrazione e l’area, è già
fortemente sismica; inoltre l’emunzione
di petrolio o di gas naturale, comporta il
rischio dell’insorgere di un fenomeno
chiamato “subsidenza antropica”, cioè il
collasso di un tratto di crosta terrestre,
che sott’acqua potrebbe generare onde
anomale, cioè tsunami!
Significative, in tal senso, le note
conclusive del parere espresso
dall’Ufficio Tecnico del Comune di
Sciacca: “È più che mai necessario, vitale,
salvaguardare l’unicità dell’ambiente
marino, tutelate le biodiversità che in esso
convivono, garantire il futuro economico
delle popolazioni che si affacciano in
questo mare, inibendo ... ogni attività
potenzialmente inquinante, al fine di
riconsegnare alle generazioni future, in
Mare Nostrum crocevia di civiltà antiche
e moderne, nella sua integrità e non
un’infernale palude stigia!”
La storia del ritrovamento di Empedocle,
vulcano del Canale di Sicilia
Al largo di Seccagrande, di fronte a
Sciacca, a una trentina di chilometri dalla
costa meridionale siciliana, riposa, ma
non dorme, Empedocle. Nessuno ne
conosceva l’esistenza fino al 21 giugno
del 2006, quando nel corso di una
conferenza stampa organizzata a Roma
dalla società di produzioni televisive
GA&A, dal Consorzio Nazionale Inter-
Universitario per le Scienze del Mare
(CONISMA) e da MEDIASET, ne fu
data notizia: giorni prima lo aveva
“visitato”, primo in assoluto, Domenico
Macaluso, chirurgo con la passione delle
immersioni.
Empedocle, però, non è il filosofo
agrigentino. E’ un gigantesco complesso
vulcanico, grande, più o meno, come
l’Etna, “attivo – dice il dott. Macaluso -
come dimostrano le fumarole di grande
portata identificate e segni inequivocabili
di eruzioni sottomarine”.
La scoperta non è roba da poco: aiuta a
dare spiegazioni ad una serie di fatti:
dall’evento catastrofico che nel 365 d.C.
che distrusse moltissime città della Sicilia,
alla storia di Ferdinandea, l’isola che non
c’è più (emersa di fronte a Sciacca nel
giugno del 1831 si inabissò pochi mesi
dopo mentre se ne contendevano il
possesso il Regno delle due Sicilie,
l’Inghilterra e la Francia), al più recente
terremoto del 19 marzo 2009.
E se Empedocle dovesse svegliarsi?
L’interrogativo se lo pongono in tanti
perchè un’esplosione in mezzo al mare
potrebbe sprigionare un’onda anomala
pronta a spazzare, per centinaia di
chilometri, le coste del Mediterraneo. Ne
hanno parlato, per esempio, domenica 31
ottobre scorso, a “Report”, su RAI 3,
all’interno di un servizio, dopo i disastri
nel Golfo del Messico, sui danni
ambientali provocati dal greggio in
relazioni alle nuove ipotizzate, e forse
alcune autorizzate, ricerche petrolifere nel
Canale di Sicilia (a parte riportiamo le
dichiarazioni del dott. Macaluso).
Difficilissimo, comunque, dire che cosa
potrebbe accadere, mentre sarebbe più
facile ed opportuno cominciare a pensare
a prevenire.
Intanto conosciamo la storia di
Empedocle per bocca dello stesso
Domenico Macaluso, recentemente
invitato dal presidente del Rotary Club
di Alcamo, Andrea Ferrarella, per una
conferenza, nel salone della Banca don
Rizzo, su “Empedocle e Ferdinandea: i
vulcani del Canale di Sicilia”.
La ricerca
La scoperta di Empedocle non è casuale.
La ricerca, infatti, parte nel 1999 quando
Macaluso, responsabile del Nucleo
Operativo Subacqueo della Lega Navale
Italiana di Sciacca e presidente del Club
Seccagrande, coordina per conto
dell’Ordine dei Geologi della Sicilia,
diverse missioni subacquee sui resti
dell’isola Ferdinandea, documentandosi
anche con materiale storico, sulle eruzioni
registrate nel Canale di Sicilia.
Il 5 marzo del 2003, poi, un forte
terremoto viene registrato nel Canale di
Sicilia e Macaluso nota che l’evento
sismico è stato accompagnato dallo
spiaggiamento di tonnellate di pomici
lungo le coste agrigentine. Raccoglie dei
campioni e li fa analizzare dalla dott.ssa
Anna Corsali (INGV di Catania):
l’indagine petrografica evidenzia che si
erano liberate non in seguito ad una
eruzione sottomarina, ma per crollo di un
edificio vulcanico sconosciuto, in seguito
all’onda d’urto del terremoto. Macaluso
si convince, più di quanto lo fosse prima,
che il Canale di Sicilia nasconde vulcani
potenzialmente pericolosi e comincia a
promuovere attraverso i mezzi di
informazione l’esigenza di una ricerca.
Trova una risposta dalla società di
produzione televisiva romana GA&A
Production interessata alla realizzazione
di un documentario sulla ricerca di questo
ipotetico vulcano, ricerca che era stata
provata senza successo dall’Istituto
Idrografico della Marina nel 2003 e nel
2005.
La GA&A Production si rivolge al
CONISMA, ente di ricerca statale
universitario, e la missione diventa
operativa il 30 aprile quando il gruppo di
ricerca salpa da Sciacca a bordo della nave
oceanografica Universitatis dotata di
sofisticati strumenti di ricerca, tra i quali
un ecoscandaglio multibeam ed un side
scan sonar.
La ricerca si protrae fino all’8 maggio
2006 con i tecnici che si alternano ogni 4
ore, giorno e notte, ed a bordo, oltre a
Macaluso, ci sono il dr. Gianni
Lanzafame dell’INGV di Catania, i
tecnici, l’equipaggio e la troupe televisiva
diretta dal noto documentarista Tullio
Bernabei, la dott.ssa Rossana Sanfilippo,
paleoecologa e la dott.ssa Alba Santo,
petrografa dell’Università di Bologna.
La scoperta
“Elaborando ed analizzando i dati che
venivano acquisiti, alla fine ci i è resi
conto che i banchi che nella cartografia
ufficiale si estendono al centro dei quel
tratto di Canale di Sicilia compreso tra
Sciacca-Seccagrande-Siculiana e
Pantelleria, indicati come banchi isolati
anche se contigui (banco di Graham,
banco Avventura e banco Terribile), non
sono altro che un unico complesso
vulcanico che copre un’area vasta circa 35
X 20 km! Da questa grande piattaforma
sottomarina che si erge da batimetriche
che oscillano dai 300 ai 400 metri di
profondità (con fosse anche di 640
metri), si ergono vari crateri più o meno
vecchi, che hanno rappresentato nel
tempo le bocche eruttive del grande
vulcano. Il giornalista Attilio Bolzoni, per
rendere più comprensibile la morfologia
di questo complesso, lo ha paragonato ad
una torta dalla quale spuntano tante
candeline. In effetti, osservando una
splendida ricostruzione tridimensionale
dell’apparato vulcanico, si vedono molti
crateri ergersi dalla base del vulcano e tra
questi, anche i resti dell’isola
Ferdinandea.
La campagna di ricerca oceanografica a
bordo della Universitatis, ha ottenuto un
altro grande risultato scientifico, per me
motivo di grande soddisfazione: il
rinvenimento di un cratere vulcanico al
largo di Seccagrande, cercato per anni da
navi oceanografiche come la Bannok,
l’Aretusa e la Galatea, ma mai localizzato
e che è stato trovato grazie ad una
intuizione degna di Dan Brown, nel
Codice da Vinci. La cartografia che va
dalla fine del 1800 ad oggi, riporta al largo
delle coste agrigentine, un picco isolato
che da un fondale in media di 300m si
innalza fino a -45 metri dalla superficie:
sicuramente un vulcano. Le precedenti
esplorazioni di tale zona, effettuate dagli
altri ricercatori anch’esse con il
multibeam, avevano dato esito negativo
ed anche noi, all’inizio della nostra
ricerca, non lo avevamo trovato nel punto
indicato nella carte: addirittura invece che
un picco, esisteva una vasta depressione
di oltre 600 metri! I dati relativi alla
presenza di questo vulcano, si rifacevano
ad un evento testimoniato dal
vulcanologo Giuseppe Mercalli, che
riportava in un suo libro, la disavventura
del vascello inglese Victory, che nel 1845
rischiò di affondare, per essersi ritrovato
nel bel mezzo di una eruzione marina.
Mercalli riportava anche le coordinate,
ma in quel punto non si era trovato nulla.
Dopo le prime fasi di ricerche negative,
ho intuito che alla fine del 1800, quando
scriveva il Mercalli, il primo meridiano
era già posto a Greenwich, ma le
coordinate registrate dal comandante del
vascello inglese erano del 1845 ed in
quell’epoca, il primo meridiano per
convenzione, era posto sull’isola di
Ferro, nelle Canarie. Ho suggerito dunque
all’ufficiale di rotta dell’Universitatis di
spostare le nostre ricerche ad ovest,
mantenendoci sullo stesso parallelo e
immediatamente abbiamo trovato un
cratere del diametro uguale a quello del
Colosseo (circa 110 metri), dalle
caratteristiche morfologiche di un vulcano
esplosivo, cioè non come un cono,
caratteristica del cratere da eruzione, ma
slargato e basso: anche questa forma può
confermare che si tratta dei resti
dell’esplosione sottomarina del 1845 o di
quella notata dall’ammiraglio De Zara nel
1942, durante la battaglia di Mezzo
Giugno. Abbiamo quindi fatto immergere
un veicolo automatico munito di
telecamera, il ROV, per vedere se c’era
vita o se si trattasse di un vulcano ancora
attivo e dopo avere costatato che dentro
il cratere c’erano esseri viventi (pesci ed
alghe), ho effettuato, primo in assoluto,
una immersione all’interno del cratere,
per prelevarne del basalto: ecco perché,
forse immodestamente, ho voluto
registrare come “ Mac. 06 ” (sigla del mio
nome), questo cratere”.
Il nome
Ho invece deciso di chiamare il grande
complesso vulcanico “Empedocle”, in
primo luogo poiché il grande filosofo del
IV sec. a.C. era nativo di Agrigento (e
questo vulcano è prospiciente la
provincia della città dei templi), ma anche
perché questo straordinario personaggio
vissuto a cavallo tra la 75° e la 90°
olimpiade, fu filosofo, medico (suoi i
primi studi sulla fisiologia della vista e
fondatore della prestigiosa Scuola Medica
Siciliana), fisico (sue le prime esperienze
sul peso dell’aria e la pressione
atmosferica, ben prima di Torricelli),
poeta (ebbe l’onore della lettura delle sue
poesie nel corso delle olimpiadi), ma
soprattutto per essere stato un grande
naturalista, colui che per primo nella sua
opera de Reum Natura, parlò dei 4
elementi ingenerati e incorruttibili, Aria-
Acqua-Terra-Fuoco. Infine e non per
ultimo, perché Empedocle, forse in un
delirio di grandezza, decise di scomparire
senza lasciare traccia del suo corpo, come
un dio e per questo si gettò nel cratere
dell’Etna; ma secondo la tradizione il
vulcano, irritato da tanta arroganza,
espulse con la lava uno dei suoi sandali,
pietrificato, per smascherare il trucco; nel
luogo ove venne rinvenuto il sandalo, fu
edificato un tempietto ancora oggi
ricordato come Torre del Filosofo.
“Il vulcano, nel corso dei secoli – ha
spiegato Macaluso - ha dato eruzioni e
formazioni di isole come la Ferdinandea,
che prima di oggi era considerato un
vulcano isolato, mentre alla luce della
recente scoperta, si è compreso che
questo, come tanti altri crateri identificati
in questa area, non sono altro che coni
eruttivi accessori, di un unico grande
vulcano”.
Non si è pervenuti ad una scoperta così
rilevante per caso o perché i tecnici della
nave Universitatis del CONISMA, sono
stati così fortunati da trovare edifici
vulcanici cercati senza successo
dall’Istituto Idrografico della Marina (nel
2003 e nel 2005): dietro c’è un lavoro di
ricerca in mare ed in archivio che il
sottoscritto ed il dr. Gianni Lanzafame,
vulcanologo dell’INGV di Catania,
abbiamo condotto da diversi anni.
Dal 1999 ad oggi, il sottoscritto come
responsabile del Nucleo Operativo
Subacqueo della Lega Navale Italiana di
Sciacca e presidente del Club
Seccagrande, ha coordinato per conto
dell’Ordine dei Geologi della Sicilia,
diverse missioni subacquee sui resti
dell’isola Ferdinandea, documentandosi
anche con materiale storico, sulle eruzioni
registrate nel Canale di Sicilia.
Il 5 marzo del 2003, un forte terremoto
è stato registrato nel Canale di Sicilia ed il
sottoscritto ha notato che l’evento
sismico è stato accompagnato dallo
spiaggiamento di tonnellate di pomici
lungo le coste agrigentine. Raccolti alcuni
campioni di roccia, le ho fatto analizzare
dalla dott.ssa Anna Corsali (INGV di
Catania) e l’indagine petrografica ha
evidenziato che le pomici si erano liberate
non in seguito ad una eruzione
sottomarina, ma per crollo di un edificio
vulcanico sconosciuto, in seguito all’onda
d’urto del terremoto. A questo punto,
convinto dalla frequenza dei terremoti e
dalla documentazione storica raccolta, che
il Canale di Sicilia nascondesse vulcani
potenzialmente pericolosi, ho ipotizzato
la costituzione di un “Gruppo
Pluridisciplinare di Ricerca e
Monitorizzazione dell’Attività Vulcanica
nel Canale di Sicilia” e la Lega Navale di
Sciacca presieduta dall’Avv. Gaspare
Falautano, ha cercato di renderlo
operativo, mediante un protocollo
d’intesa con l’INGV di Catania,
rappresentato da Gianni Lanzafame e dal
prof. Luigi Tortorici, vulcanologo della
facoltà di geologia.
Ho manifestato l’esigenza di procedere
nella ricerca di questi vulcani, attraverso
diversi articoli su giornali e televisioni e la
società di produzione televisiva romana
GA&A Production, dopo una mia
intervista su Panorama, mi ha contattato
chiedendomi di collaborare alla
realizzazione di un documentario sulla
ricerca di questo ipotetico vulcano. La
GA&A, disposta a finanziare una
campagna di ricerca oceanografica, si è
rivolta al CONISMA, ente di ricerca
statale universitario, che ha in dotazione
un gioiello tecnologico, la nave
oceanografica Universitatis, dotata di
sofisticati strumenti di ricerca, tra i quali
un ecoscandaglio multibeam ed un side
scan sonar. Il direttore del CONISMA,
l’ing. Annibale Cutrona, analizzata
l’ipotesi di ricerca prospettata dal
sottoscritto, non solo ha accettato di
noleggiare la nave alla GA&A, ma ha
deciso di co-finanziare la ricerca.
La missione è divenuta operativa il 30
aprile, quando la Universitatis è salpata
da Sciacca per una crociera di ricerca che
si è protratta per otto giorni. A bordo,
oltre il sottoscritto, il dr. Lanzafame, i
tecnici, l’equipaggio e la troupe televisiva
diretta dal noto documentarista Tullio
Bernabei, c’erano anche la dott.ssa
Rossana Sanfilippo, paleoecologa e la
dott.ssa Alba Santo, petrografa
dell’Università di Bologna.
Il sottoscritto, oltre che responsabile
delle operazioni subacquee (per
l’esplorazione, il prelievo di basalto ed il
posizionamento di strumenti di
rilevamento) e medico di bordo, ha
fornito un contributo determinante nella
ricerca, quando nel corso del breafing
prima della partenza, ha indicato l’area
sulla quale concentrare la ricerca,
individuata grazie alla documentazione
raccolta.
E’ stato dunque agevole per la
Universitatis, perlustrare un tratto di
Canale di Sicilia, ben definito dalle
coordinate che ho suggerito e questo ha
compensato le ore di ricerca perdute, per
via delle condizioni di mare proibitive.
La ricerca
La ricerca, protrattasi fino all’ 8 maggio
2006, è stata proficua sotto tanti aspetti:
dal punto di vista della protezione civile
(per lo studio di un tratto di mare
prospiciente un’area della Sicilia molto
esposto al rischio sismico e da maremoto
- ed i recentissimi terremoti di Linosa, di
magnitudo 3,6 Richter, lo dimostrano-),
dal punto di vista scientifico (il mutibeam
ha fatto chiarezza anche sulla faglia
dislocante rinvenuta), dal punto di vista
della cartografia (è stata ridefinita la
cartografia di questa area ed è stata
registrata la scoperta ed i nomi dei
vulcani, alla Royal Geographical Society),
per la prova della presenza di
vulcanesimo attivo (abbiamo rinvenuto
fumarole ad alta portata), ma anche
storica, per eventi che, se
cronologicamente possono sembrare
lontani, geologicamente sono invece vicini
nel tempo. Mi riferisco ad un evento di
proporzioni catastrofiche, che nel 365 d.
C. sembra avere distrutto moltissime città
della Sicilia: un terremoto seguito da
maremoto, che distrusse città floride
come Selinunte, Allavam ed Eraclea
Minoa. Si è trattato di un evento che, se
non poteva essere giustificato dalla
nascita di un vulcano relativamente
piccolo come Ferdinandea, il gigantesco
vulcano che ho battezzato Empedocle,
grande come l’Etna, giustifica, eccome!
La ricerca, effettuata full time, con i
tecnici che si alternavano ogni 4 ore,
giorno e notte, è stata condotta con
l’utilizzo di un ecoscandaglio multibeam,
che permetteva di effettuare strisciate di
tratti di mare larghi 1 km e lunghi 10 km e
con un altro sofisticato strumento, il side-
scan sonar.
La scoperta.
Elaborando ed analizzando i dati che
venivano acquisiti, alla fine ci i è resi
conto che i banchi che nella cartografia
ufficiale si estendono al centro dei quel
tratto di Canale di Sicilia compreso tra
Sciacca-Seccagrande-Siculiana e
Pantelleria, indicati come banchi isolati
anche se contigui (banco di Graham,
banco Avventura e banco Terribile), non
sono altro che un unico complesso
vulcanico che copre un’area vasta circa 35
X 20 km! Da questa grande piattaforma
sottomarina che si erge da batimetriche
che oscillano dai 300 ai 400 metri di
profondità (con fosse anche di 640
metri), si ergono vari crateri più o meno
vecchi, che hanno rappresentato nel
tempo le bocche eruttive del grande
vulcano. Il giornalista Attilio Bolzoni, per
rendere più comprensibile la morfologia
di questo complesso, lo ha paragonato ad
una torta dalla quale spuntano tante
candeline. In effetti, osservando una
splendida ricostruzione tridimensionale
dell’apparato vulcanico, si vedono molti
crateri ergersi dalla base del vulcano e tra
questi, anche i resti dell’isola
Ferdinandea.
La campagna di ricerca oceanografica a
bordo della Universitatis, ha ottenuto un
altro grande risultato scientifico, per me
motivo di grande soddisfazione: il
rinvenimento di un cratere vulcanico al
largo di Seccagrande, cercato per anni da
navi oceanografiche come la Bannok,
l’Aretusa e la Galatea, ma mai localizzato
e che è stato trovato grazie ad una
intuizione degna di Dan Brown, nel
Codice da Vinci. La cartografia che va
dalla fine del 1800 ad oggi, riporta al largo
delle coste agrigentine, un picco isolato
che da un fondale in media di 300m si
innalza fino a -45 metri dalla superficie:
sicuramente un vulcano. Le precedenti
esplorazioni di tale zona, effettuate dagli
altri ricercatori anch’esse con il
multibeam, avevano dato esito negativo
ed anche noi, all’inizio della nostra
ricerca, non lo avevamo trovato nel punto
indicato nella carte: addirittura invece che
un picco, esisteva una vasta depressione
di oltre 600 metri! I dati relativi alla
presenza di questo vulcano, si rifacevano
ad un evento testimoniato dal
vulcanologo Giuseppe Mercalli, che
riportava in un suo libro, la disavventura
del vascello inglese Victory, che nel 1845
rischiò di affondare, per essersi ritrovato
nel bel mezzo di una eruzione marina.
Mercalli riportava anche le coordinate,
ma in quel punto non si era trovato nulla.
Dopo le prime fasi di ricerche negative,
ho intuito che alla fine del 1800, quando
scriveva il Mercalli, il primo meridiano
era già posto a Greenwich, ma le
coordinate registrate dal comandante del
vascello inglese erano del 1845 ed in
quell’epoca, il primo meridiano per
convenzione, era posto sull’isola di
Ferro, nelle Canarie. Ho suggerito dunque
all’ufficiale di rotta dell’Universitatis di
spostare le nostre ricerche ad ovest,
mantenendoci sullo stesso parallelo e
immediatamente abbiamo trovato un
cratere del diametro uguale a quello del
Colosseo (circa 110 metri), dalle
caratteristiche morfologiche di un vulcano
esplosivo, cioè non come un cono,
caratteristica del cratere da eruzione, ma
slargato e basso: anche questa forma può
confermare che si tratta dei resti
dell’esplosione sottomarina del 1845 o di
quella notata dall’ammiraglio De Zara nel
1942, durante la battaglia di Mezzo
Giugno. Abbiamo quindi fatto immergere
un veicolo automatico munito di
telecamera, il ROV, per vedere se c’era
vita o se si trattasse di un vulcano ancora
attivo e dopo avere costatato che dentro
il cratere c’erano esseri viventi (pesci ed
alghe), ho effettuato, primo in assoluto,
una immersione all’interno del cratere,
per prelevarne del basalto: ecco perché,
forse immodestamente, ho voluto
registrare come “ Mac. 06 ” (sigla del mio
nome), questo cratere.
Il nome
Ho invece deciso di chiamare il grande
complesso vulcanico “Empedocle”, in
primo luogo poiché il grande filosofo del
IV sec. a.C. era nativo di Agrigento (e
questo vulcano è prospiciente la
provincia della città dei templi), ma anche
perché questo straordinario personaggio
vissuto a cavallo tra la 75° e la 90°
olimpiade, fu filosofo, medico (suoi i
primi studi sulla fisiologia della vista e
fondatore della prestigiosa Scuola Medica
Siciliana), fisico (sue le prime esperienze
sul peso dell’aria e la pressione
atmosferica, ben prima di Torricelli),
poeta (ebbe l’onore della lettura delle sue
poesie nel corso delle olimpiadi), ma
soprattutto per essere stato un grande
naturalista, colui che per primo nella sua
opera de Reum Natura, parlò dei 4
elementi ingenerati e incorruttibili, Aria-
Acqua-Terra-Fuoco. Infine e non per
ultimo, perché Empedocle, forse in un
delirio di grandezza, decise di scomparire
senza lasciare traccia del suo corpo, come
un dio e per questo si gettò nel cratere
dell’Etna; ma secondo la tradizione il
vulcano, irritato da tanta arroganza,
espulse con la lava uno dei suoi sandali,
pietrificato, per smascherare il trucco; nel
luogo ove venne rinvenuto il sandalo, fu
edificato un tempietto ancora oggi
ricordato come Torre del Filosofo.
Risultati e prospettive.
La scoperta di Empedocle ha suscitato
una vasta eco non solo nei media italiani,
ma anche all’estero. Il direttore
dell’INGV, prof. Enzo Boschi, nel corso
di una intervista per Il Giornale, ha
dichiarato che la scoperta rappresenta
“un tassello molto importante nel quadro
dello sviluppo della vulcanologia
nazionale” e ancora “ … siamo
certamente più al sicuro adesso che
prima, quando non ne conoscevamo
l’esistenza”. Nella stessa intervista
assicura che si potrà monitorare il
complesso e seguirne gli sviluppi dei
processi eruttivi. Enzo Boschi (la
Repubblica, 22 luglio), molto
concretamente comunque chiede fondi
per una ricognizione complessiva dei
vulcani attivi in tutto il Mediterraneo,
fondi che alla luce di tanto clamore
arriveranno e questa volta, si spera, non
concentrati nella Sicilia orientale, ma nella
Sicilia sud-occidentale.
La prima del documentario “Caccia al
Vulcano” prodotto dalla GA&A ha avuto
luogo a Parigi nel 2007 e quindi il
documentario è stato trasmesso in
Australia, Giappone ed in Italia, da
National Geographic. Il documentario ha
vinto il I° premio al Festival
Internazionale del Cinema Scientifico, per
il 2007.
Sarebbe auspicabile a questo punto,
creare a Sciacca una sezione distaccata
dell’INGV ed un Istituto di Geologia
Marina dipendente dal Polo Universitario
Agrigentino, unico in Italia e forse nel
mondo, per il fatto di potere disporre di
un laboratorio di ricerca non artificiale,
ma naturale a sole 23 miglia da Sciacca,
dove studiare dal vivo la vulcanologia
sottomarina; oltre le varie materie inerenti
la geologia classica, l’Istituto potrebbe
offrire anche agli studenti di altre facoltà,
come Biologia e Medicina, la possibilità
di seguire lezioni di biologia Marina e di
“Medicina delle Catastrofi”, istituendo
un apposito corso con queste materie
d’insegnamento.
Tale peculiarità potrebbe rappresentare
un unicum, un esclusivo Campus
Universitario con laboratori sottomarini
che stagisti di varie nazioni, potrebbero
frequentare su richiesta, come avviene
oggi a Malta dove sotto l’egida
dell’ONU, si trova uno dei pochi Istituti
Internazionali di Giurisprudenza per lo
studio del Diritto Internazionale, diretto
dal prof. David Attard, frequentato
annualmente da studenti provenienti da
ogni parte del mondo.
Per quanto riguarda il turismo, anche la
realtà rappresentata dal nutrito esercito di
sommozzatori sportivi (composto in
Europa da oltre 2 milioni di individui),
oltre che dal museo del Mare, di
imminente realizzazione, sarebbe attratta
da Sciacca per il fatto di potere effettuare
immersioni guidate sui resti dell’isola
Ferdinandea e sugli altri vulcani.
Sono idee che a mio modesto avviso,
sono facilmente realizzabili e che, oltre ad
un interesse scientifico, comporterebbero
anche un concreto riflesso positivo per
l’economia della zona.
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01/01/2009 - 1991 1992 Presidente Beniamino Macaluso
Artista Gery Scalzo
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